Sono passati 80 anni da quel 25 Aprile 1945 quando il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamò l’insurrezione generale contro i nazifascisti che ancora occupavano i territori del nord della Penisola, assunse il potere “in nome del popolo italiano” e decretò la condanna a morte per i gerarchi fascisti.
Ottant’anni di libertà, indipendenza e democrazia: i valori antifascisti su cui si fonda la Costituzione della nostra Repubblica.
Ottanta anni fa donne e uomini, antifasciste, antifascisti, partigiane, partigiani, staffette, lavoratrici, lavoratori, deportate, deportati, internati, militari, forze dell’ordine, religiose e religiosi, partigiani, studenti, operai e contadini lottarono per liberare il nostro Paese dall’oppressione fascista e dall’occupazione nazista.
Ottant’anni di democrazia.
Oggi più che mai dobbiamo chiederci: cos’è, dunque, il 25 Aprile?
Un momento di riflessione collettiva che parte da una frase pronunciata da un giovane partigiano prima di essere fucilato a Pessano: “Non moriamo mica per niente, moriamo per qualcosa”.
Un momento di analisi sullo stato della democrazia, sull’importanza della Costituzione, sul ruolo del Parlamento, sul valore della libertà di informazione: tutto ciò che il fascismo aveva calpestato, che segna uno spartiacque tra il prima e il dopo.
Stiamo assistendo a una deriva che va verso il tradimento di quell’ideale che ha animato chi ha combattuto per la liberazione: se le persone non vanno a votare è perché disconoscono il valore della democrazia; se i giovani laureati fuggono dall’Italia è perché in patria vedono ostacoli insormontabili al loro cammino; se l’istruzione subisce continui tagli di fondi è difficile che possa svolgere il suo ruolo di emancipazione.
Un momento per la memoria e per il domani.
Mai come oggi ricordiamo con affetto e riconoscenza coloro che hanno combattuto e che hanno sacrificato la vita in quello straordinario evento storico chiamato Resistenza: da loro continuiamo e continueremo a prendere esempio.
Allora il nostro ricordo, oltre che a tutti i caduti, va in particolare ai cittadini e alle cittadine di Gorgonzola che hanno combattuto per la nostra libertà.
Le riunioni clandestine a Gorgonzola avvenivano presso il cascinotto di Luigi Fossati nella corte dei Chiosi, le cascine Riva Ronchetta e Nuova. I gruppi partigiani cattolici si riunivano all’oratorio, con don Egidio Bonfanti.
In questi luoghi sono nate le nuove leve della vita politica e amministrativa di Gorgonzola.
Luigi Fossati
Carlo Merlini
Luigi Restelli
Carlo Fontana
Carlo Mandelli
Cesare Lampertico
Francesco Petrogalli
Lino Galliani
Tullio Tremolati
Loris Pescaroli
Luigi Brambilla
Ezio Sironi
Alfredo Colombo
Ezechiele Bazzarelli
Luigi Ghidini
Ernesto Longoni
Mario Castelli
Silvio Vergani
Luigi Levati
Leonardo Nobile
Pietro Carioni
Guido Lampertico
Giovanni Mantegazza
Francesco Bianchi
Aquilino Carminati
Ambrogio Levati
Luigi Manetti
Luigi Meroni
Salvatore Mignosi
Francesco Piazza
Alfredo Radaelli
Enzo Sironi
Giuseppe Abbiati
Renzo Acquati
Giulio Casalecchi
Natale Crippa
Luigi Zappa
Tra i partigiani di Gorgonzola ufficialmente riconosciuti figura solo una donna, sappiamo che c’è stata un’epurazione delle donne dalla memoria partigiana: nelle pagini ufficiali non c’è posto per i nomi e i volti femminili.
Allora vogliamo ricordare una per tutte Antonietta Gerosa.
La memoria del loro sacrificio si deve tradurre in impegno quotidiano contro ogni forma di fascismo, razzismo, intolleranza, disuguaglianza e sfruttamento.
Mai come oggi consegniamo alle nuove generazioni l’orizzonte di futuro che aveva negli occhi il popolo della Resistenza in quell’Aprile 1945. Di nuovo, è tempo di resistenza, una resistenza consapevole, pacifica, collettiva. Di nuovo ci riconosciamo in un cammino di liberazione da percorrere insieme.
Di fronte alla costante minaccia di tenuta dei sistemi democratici alle tendenze autoritarie che si manifestano, di principi come emancipazione e uguaglianza sempre più messi in discussione, dobbiamo ritornare al messaggio che ci viene dalla Resistenza e che ci riporta alle motivazioni profonde dei partigiani: la convinzione che, nel corso di una guerra devastante, fosse necessario riappropriarsi della politica nel senso più nobile del termine, quella che si pone il problema di come costruire per la società un futuro migliore.
Allora facciamo nostre le parole di Giaime Pintor (partigiano): “non c’è nessuna salvezza possibile nella neutralità e nell’isolamento”
Se il 25 Aprile, questo 25 Aprile, è tutto questo allora sì.
La festa del 25 Aprile non è di tutti: è di molti: comunisti, cattolici, socialisti, azionisti, liberali, repubblicani, militari che rifiutarono di combattere con i tedeschi, ebrei, donne e uomini che rischiarono e persero la vita partecipando a una Resistenza che ci ha regalato una Patria non più schiava della tirannide fascista e dell’occupazione nazista.
Una festa riservata a chi continua a pensare che essere italiani significa essere antifascisti perché il fascismo è una dittatura e gli italiani sono cittadini di una democrazia.
È vero, il 25 Aprile è una festa magnificamente divisiva: divide i democratici dai fascisti, chi si riconosce nella Costituzione e vuole difenderne l’eredità e chi intende calpestarla, chi ripudia la guerra da chi la esalta, chi rifiuta l’ipocrisia e chi ne è campione, chi pensa che la seconda parte della Carta Costituzionale sia l’attuazione concreta della prima e chi non capisce, o finge di non capire, che stravolgerne la seconda parte significa, sostanzialmente, rendere la prima una mera enunciazione di princìpi anziché “il programma politico della Resistenza”, come sosteneva Calamandrei.
E allora torniamo a quelle donne e a quegli uomini ai quali possiamo dire: «Voi siete morti per qualcosa e noi, grazie a voi, per quel qualcosa viviamo.