Come è difficile quest’anno trovare le parole per un anniversario che sembra così lontano da quello che il mondo sta attraversando in questo periodo.
Abbiamo tutti sotto gli occhi le immagini delle due guerre di cui si parla più di tutti: Ucraina e Palestina.
Mi sono chiesta: come si può parlare di Forze Armate, di unità nazionale, di vittoria
Davvero si fatica anche a capire se questa festa ha ancora un significato, se dal sacrificio di tutti i caduti possiamo, ancora, trarre qualcosa.
Per questo voglio condividere con voi dei pensieri e delle domande che fanno male, a cui forse non c’è risposta.
Ecco allora ancora 3 parole da aggiungere a quelle degli scorsi anni:
- Unità – Servizio – Pace – 2023
- Memoria – Europa – Non violenza – 2024
CONFLITTO
Nel 2025, il mondo continua a essere segnato da numerosi conflitti armati devastanti per le popolazioni coinvolte. Dall’Ucraina a Gaza, dallo Yemen alla Repubblica Democratica del Congo, milioni di persone vivono sotto la costante minaccia della guerra. Ogni conflitto ha cause e sviluppi specifici, ma tutti condividono un impatto drammatico su civili, bambini e intere economie.
Il mondo nel 2025 conta oltre 55 conflitti armati in corso, secondo i dati riportati da Oxfam. Alcuni sono internazionali, altri interni ma con implicazioni globali. Molti di questi conflitti sono classificati come guerre civili o insurrezioni armate, spesso alimentate da crisi economiche, violazioni dei diritti umani e disuguaglianze storiche.
Rispetto ai conflitti del passato, oggi le guerre sono spesso più asimmetriche e frammentate, con attori statali e non statali, e si combattono non solo per territori, ma anche per risorse naturali, identità etniche e influenze geopolitiche. La componente mediatica e digitale ha inoltre cambiato la percezione e la gestione della guerra stessa.
Tra le guerre più note nel 2025, come dicevo, spiccano due conflitti particolarmente gravi: quello in Ucraina e la recente escalation a Gaza.
Le vittime civili della guerra in Ucraina, iniziata con l’invasione russa nel 2022, sono più di 13mila da febbraio 2022 a maggio 2025, con un incremento del 10% nei primi cinque mesi del 2025 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Gaza è invece l’epicentro di un conflitto ciclico e devastante che nasce dall’occupazione e che ormai rientra nella categoria “genocidio” per la violenza costante subita dalla popolazione di Gaza in maniera unilaterale.
Oggi è in corso una tregua raggiunta sulle teste dei palestinesi, svuotati dalla loro umanità e considerati un fastidio.
A Gaza i bombardamenti israeliani hanno causato oltre 67.000 morti (oltre 18.400 sono bambini) e oltre 167.000 feriti (fonte Ministero della Sanità palestinese), che si vanno a sommare alle oltre 1.500 vittime israeliane.
In Sud Susan si stimano oltre 150mila vittime, 11 milioni di sfollati. Negli ultimi 40 giorni sono morte 118 persone tra cui 73 bambini sotto i 5 anni.
E la domanda che sorge è che vita avranno queste popolazioni? Questi bambini e giovani nati e cresciuti in un conflitto che ha portato via i loro genitori, che non hanno più un affetto, una casa, un posto dove stare.
E di tutte le altre vittime dei conflitti in corso? Delle quali non si trovano dati, informazioni.
Ecco allora la seconda parola.
SILENZIO
Tutti gli altri conflitti su cui non si accendono i riflettori dei media, rimangono silenziosi agli occhi dell’opinione pubblica
Si parla solo di quelli che “fanno notizia” dimenticandoci che in ogni conflitto ci sono bambine/i, uomini e donne che soffrono, legami che si spezzano, persone e luoghi da ricostruire.
Oltre a Ucraina e Gaza, sono attivi conflitti in Yemen, Siria, Etiopia, Somalia, Sudan, Myanmar, Afghanistan, Haiti, Repubblica Democratica del Congo, Burkina Faso, Mali, Niger e Sudan del Sud.
Aumenta del 20% l’intensità e la letalità dei conflitti, crescono del 27% le persone – quasi 300 milioni – che nel mondo dipendono dagli aiuti umanitari, si registra un balzo esponenziale del 100% dei rifugiati ogni 10 anni, mentre la spesa militare mondiale sfiora i 2.500 miliardi di dollari pari al 2,3% del Pil globale.
In questo silenzio a noi spetta informarsi per investire nella costruzione della pace, non come un’idea astratta, ma come una realtà concreta che si manifesta nelle scelte quotidiane.
Silenzio è da intendersi, però, anche e soprattutto fare silenzio.
Tutti oggi si sentono liberi di dire la loro, senza essere informati, senza sapere di cosa parlano.
E con le nostre parole alimentiamo i conflitti perché non c’è dialogo ma solo contrapposizione e giudizio.
Ecco: è il momento di fare silenzio, di non sprecare parole ma di vincere l’indifferenza
È il momento di partecipare, essere attori protagonisti del cambiamento che parte da noi, dalla nostra volontà di non voltare le spalle e di lottare affinché ogni vita sia rispettata.
PERDONO
Inteso come chiedere perdono
Chiediamo, allora perdono, per ogni volta che ci giriamo dall’altra parte, che preferiamo non vedere o che guardiamo con i paraocchi del pregiudizio, dell’appartenenza politica, con la convinzione di essere nel giusto
Chiediamo perdono:
A tutti coloro che nella nostra indifferenza hanno perso tutto a causa di un conflitto.
A tutti coloro che hanno perso la vita perché vivessimo liberi, per garantire la nostra sicurezza, e alle loro famiglie.
A tutti coloro che si sono impegnati per la difesa della vita o per un aiuto umanitario ma che dai nostri divani abbiamo condannato senza muovere un dito.
A tutti coloro che ogni giorno sono in prima fila per noi.
A tutti coloro che ci hanno permesso di essere qui oggi, a fare memoria di questa ricorrenza perché non abbiamo imparato niente se ancora oggi il mondo è in guerra.
Torno così al dubbio iniziale: questa festa ha ancora un significato?
E la risposta non può che essere Sì.
Altrimenti dovremmo dire che migliaia di uomini e donne hanno perso la vita per niente; che il lavoro quotidiano di chi garantisce la sicurezza nostra e nei luoghi in guerra, non serve a niente; che non c’è più speranza, per nessuno.
A noi spetta il compito di valorizzare il sacrificio di tanti, ieri come oggi.
La risposta è Sì se ancora oggi possiamo riaffermare che parole come dialogo, confronto, rispetto, giustizia, abbiano ancora un senso.
Solo così renderemo giustizia a tutti i caduti nelle guerre e nell’esercizio del loro dovere.